I dati dicono che la famiglia è il luogo dove avvengono più delitti (soprattutto contro le donne). Serve un intervento legislativo e culturale
Da alcuni anni, in Italia, si assiste ad un calo importante del numero di omicidi, al di sotto della media europea e staccando sideralmente quella degli USA o dei paesi in via di sviluppo.
Benché si tenda a guardare con nostalgia i tempi passati, citando Cicerone (O tempora, o mores!) nella convinzione che ‘si stava meglio quando si stava peggio’, il dato numerico certifica una svolta positiva del nostro Paese che, almeno sotto questo punto di vista, appare fra i più sicuri al mondo.
Bene? Non proprio.
Se infatti si va a leggere il dato, emerge una realtà inquietante, come riscontrata dal credibile istituto di ricerca EURES che, l’altro giorno, ha pubblicato uno studio analitico con il quale è giunto alla conclusione che, in Italia, nel 2018, un omicidio su due (il 49,5%) è stato commesso in famiglia.
Su 329 omicidi in totale, ben 163 sono le vittime di reati legati al contesto familiare o relazionale con un partner, genitore, figlio, con una prevalenza netta di donne (il 67%).
Anzi, a dirla tutta, quando una donna viene uccisa, è pressoché certo che ciò sia avvenuto nell’ambito di delitto in famiglia (l’83,4%).
Il fenomeno generale parrebbe addirittura in crescita nei primi cinque mesi del 2019, tant’è che si stima di chiudere l’anno in corso con una percentuale di incidenza degli omicidi in famiglia ancora maggiore rispetto all’anno precedente.
Sembra quindi che, in Italia, più che la criminalità organizzata (che non a caso restituisce dati in incoraggiante regresso, quanto ai ‘morti ammazzati’ per faide di mafia, camorra, ‘ndragheta), o le liti sfociate nel sangue in altri contesti, la famiglia costituisca paradossalmente il rischio più grande per la vita delle persone.
Quella cellula primigenia che dovrebbe rappresentare il presidio di ciascun individuo, il rifugio dalla tempesta (come cantava Bob Dylan), mostra sempre più sovente cortocircuiti tali da trasformarla in una fatale tomba.
Discutere su come intervenire è come disquisire del sesso degli angeli, suggestivo ma con poche prospettive di individuare la soluzione.
Dal punto di vista criminologico, infatti, questo tipo di omicidi sono connotati da pulsioni che annebbiano la capacità di discernimento e sono insensibili da qualsiasi deterrenza legale: chi li compie, infatti, o si suicida a propria volta, o accetta tutte le conseguenze, mosso dalla soddisfazione di aver raggiunto il proprio scopo.
L’incremento delle pene, seppur doveroso, non è in grado – da solo – di arginare il problema, né si possono elaborare soluzioni come la patente a punti, che pur ha sortito un cospicuo risparmio di vite negli incidenti stradali.
Leggendo il dato per cui, nel 2018, gli omicidi in famiglia assistono ad una crescita quasi a tre cifre (+97%) di quelli commessi con armi da fuoco, si potrebbe intanto intervenire in modo palliativo in quell’ambito, cercando di limitare al massimo il numero di armi circolanti, essendo oggettivo che queste poi vengono rivolte non già verso assalitori estemporanei ma verso i propri ‘cari’, se così si può dire.
Semmai l’intervento più massiccio dev’essere culturale, sensibilizzando le nuove generazione verso un nuovo sistema valoriale che insegni ad elaborare la sconfitta in amore, la rabbia, la gelosia, a disancorarsi da quell’egocentrismo che impedisce di reagire alle difficoltà relazionali se non eliminando fisicamente il problema.
Può essere che in una società più ‘liquida’, dove non esistono più quei rapporti eterni ed indissolubili e dove la libertà ha assunto un dominio completo spostando l’asse dalla coppia all’individuo, l’uomo – e mi riferisco soprattutto al genere maschile – non sia ancora pronto ad accettare il nuovo corso e mostri il proprio disagio con queste esplosioni di violenza.
Non è un caso che la filosofa e saggista Maria Michela Marzano ha scritto: “Quanto più la donna cerca di affermarsi come uguale in dignità, valore e diritti all’uomo, tanto più l’uomo reagisce in modo violento. La paura di perdere anche solo alcune briciole di potere lo rende volgare, aggressivo, violento”.
Ora mi chiedo: quanto sangue ancora dovrà scorrere prima che l’uomo sia pronto ad accettare tutto ciò?