L’ultimo rapporto EURES dedicato agli omicidi volontari nel nostro Paese racconta di episodi in calo ma di una sempre maggior insicurezza in famiglia. Il commento di Giorgio Beretta (Opal)
Nel 2018 il 49,5% degli omicidi volontari commessi in Italia – 163 su 329 – sono avvenuti nella sfera familiare o in quella affettiva, una percentuale in costante crescita e che sembra confermarsi nei primi mesi del 2019. Si tratta di un dato al quale va aggiunto che due vittime su tre in famiglia sono donne (109, pari al 67%) e che nell’88% dei casi l’autore dell’omicidio è un uomo. Sono questi i primi dati che emergono dall’ultima edizione del rapporto EURES dedicato al tema. Tuttavia, questi elementi hanno bisogno di essere contestualizzati: «c’è un trend in forte decrescita a partire dagli anni Novanta degli omicidi in Italia», spiega Giorgio Beretta, analista di Opal – l’Osservatorio permanente sulle armi leggere e le politiche di sicurezza e difesa con sede a Brescia. «Siamo uno dei Paesi in cui avvengono meno omicidi a livello europeo e soprattutto sono in fortissimo calo. Anni fa, parlo degli anni Novanta, una buonissima percentuale di omicidi avveniva da parte della criminalità organizzata, che tutt’ora uccide, ma molto meno, mentre moltissimi omicidi, intorno agli 800 per anno, erano fatti dalla criminalità comune. Adesso si sono ridotti davvero, siamo intorno ai 150, che sono un fatto preoccupante certo, ma molto meno degli anni Novanta. Non c’è quindi, da questo punto di vista, un’emergenza».
Rimanendo ai dati, e restringendo il campo agli omicidi in ambito familiare, è possibile vedere che il maggior numero di vittime (49,1%) si registra all’interno della relazione di coppia, presente o passata, e che è in crescita il fenomeno dei figlicidi, passati dai 20 del 2017 ai 31 del 2018. Complessivamente, dal 2000 a oggi, gli omicidi in famiglia sono stati 3.539, in media uno ogni 3 omicidi volontari commessi nel nostro Paese, rendendo ancora più evidente la crescita anche percentuale.
Nel 2018 le vittime degli omicidi familiari sono aumentate al Sud (+14%, da 57 a 65 vittime) e al Centro (+7,1%, da 28 a 30) mentre si sono ridotte al Nord (-16%, da 81 a 68), dove è possibile comunque contare il più alto numero di vittime in termini assoluti. Inoltre, l’omicidio in famiglia colpisce in misura sempre più frequente chi ha più di 65 anni, il 30,1% del totale, a fronte del 18% del 2000, sottolineando ancora una volta la relazione con l’evoluzione demografica italiana. I ricercatori di Eures spiegano in parte questo fenomeno con la crescita dei cosiddetti omicidi compassionevoli, dettati dalla decisione di porre fine a una condizione di disagio estremo della vittima, come una grave malattia o la demenza senile.
Il 2019 è stato segnato da un crescente dibattito sul tema della legittima difesa, uno tra i punti qualificanti dell’azione politica della Lega e del ministro degli Interni. Eppure, osservando i dati, non sembra esserci alcuna urgenza in questo senso. «Nel 2017 – spiega Beretta – ci sono stati in Italia 16 omicidi per furti e rapine, comprese anche quelle in banca o furgoni portavalori. Quando ho fornito questo dato a una TV americana, la CBS, si sono stupiti del fatto che avessimo cambiato una legge per 16 omicidi, cioè quanti ne avvengono in tre giorni a Chicago».
C’è invece un altro ambito nel quale i dati non solo non confermano la tendenza generale, ma vanno decisamente al contrario: quattro vittime su dieci in famiglia sono state uccise nel 2018 con armi da fuoco, un numero quasi doppio rispetto al passato. Nel 2018 l’arma da fuoco è risultato quindi lo strumento più utilizzato negli omicidi in famiglia (65 vittime, pari al 39,9% del totale). Nel 65% dei casi, inoltre, l’autore dell’omicidio è in possesso di un regolare porto d’armi. «Parliamo di armi – prosegue Beretta – che sono nelle case degli italiani e che fino a qualche tempo fa si poteva pensare venissero utilizzate per contrastare un eventuale ladro, ma che invece nella maggior parte dei casi vengono usate per ammazzare il coniuge, qualche altro familiare con cui si ha un rapporto difficile, il vicino di casa, persone appunto che non hanno niente a che fare con i ladri e che non riguardano la rapina. Questa è la vera emergenza, quella delle armi legalmente detenute nelle case degli italiani». Oggi la maggior parte delle armi legalmente detenute dagli italiani non sono più quelle da caccia, ma stanno diventando quelle per uso sportivo. Sono 600.000 le persone che hanno una licenza per uso sportivo, che è molto facile da ottenere e permette di ottenere un gran numero di armi, addirittura 12 fucili semiautomatici, come quelli utilizzati nelle stragi in America, con caricatori da 10 colpi. Se però si guarda quanti sono effettivamente iscritti a federazioni di tiro sportivo, si arriva al massimo a 150.000-200.000 persone. «Qui – riprende Giorgio Beretta – entriamo nel vero problema: se si vuole una licenza per uso sportivo, si dia una licenza a coloro che lo praticano, ma senza munizioni in casa. Vuoi tenere la tua arma? La tieni, vai al poligono, fai pratica, ma niente munizioni in casa. Questo è il punto, riportare le licenze che noi abbiamo alla loro ragion d’essere. Su questo avrebbe dovuto riflettere anche la legge di modifica sulla legittima difesa, perché se si allargano le maglie della legittima difesa, e soprattutto si fa una propaganda dove si dice che la difesa è sempre legittima, cosa che non è comunque vera neanche con questa legge, nello stesso tempo si sarebbero dovute restringere, proprio perché è l’ambito di maggiore pericolosità , le maglie per la licenza di armi nelle case degli italiani».